Storia

Giovanni Paolo II: il papa dei record

Papa Giovanni Paolo II: dall'esuberanza giovanile al lungo calvario della malattia, ecco come e perché "l'atleta di Dio" ha bruciato le tappe della canonizzazione.

Il 16 ottobre 1978 Giovanni Paolo II saliva al soglio pontificio: un ritratto in controluce del papa più carismatico attraverso l'articolo "Santo subito" di Dario Biagi, tratto dagli archivi di Focus Storia.

Colto. Non fu una vocazione precoce. "Qualcuno si chinò lungamente su di me", riconobbe lui stesso in una poesia. Soltanto dopo la guerra, a 26 anni, Lolek, come era soprannominato dagli intimi, si decise a rispondere alla chiamata e prese l'abito sacerdotale. Amore a scoppio ritardato, ma poi furioso, divorante. Un amore che gli fece recuperare a grandi balzi il tempo perso (si fa per dire) con la letteratura, la filosofia e il teatro.

Tappe bruciate. A 38 anni Karol Wojtyla era vescovo; a 47, cardinale nella sua Cracovia; a 58, papa. Primo papa slavo della Storia, primo pontefice non italiano dopo quasi cinque secoli. Un papa atletico, che sciava, nuotava, pagaiava in canoa. Abituato a stare tra i giovani e a magnetizzare le folle con la parola. Un condottiero della fede che manomise l'etichetta di palazzo, fin dal discorso d'esordio, la sera del 16 ottobre 1978. Dopo essersi presentato ai romani come nuovo vescovo "chiamato da un Paese lontano", conquistò l'uditorio con l'invito più affabile e informale che fosse risuonato in piazza San Pietro da anni: "Se mi sbaglio, mi corrigerete".

Controcorrente. Comunicativo e traboccante di carisma: «Sembrava quasi brandire il suo pastorale d'argento come una spada», ricorda il vaticanista Andrea Tornielli, «gridando la sua fede ai gruppuscoli di infiltrati sandinisti che a Managua, nel 1983, lo contestavano apertamente». Né aveva perso il piglio del guerriero dieci anni dopo, quando, ormai stanco e acciaccato, tuonava contro i mafiosi ad Agrigento: "Pentitevi! Verrà il giorno del Giudizio".

Bruciare le tappe. Dismisura ed eccezionalità sono sostantivi che lo hanno accompagnato fino alla morte e che connotano ancor oggi il suo apostolato. Tutto è stato grandioso, maiuscolo, da record, nel pontificato di Giovanni Paolo II, anche quando vigore e veemenza hanno lasciato il posto al loro contrario, sofferenza e fatica, e il messaggio della Croce è diventato la sua testimonianza personale e la sua cifra. Persino dopo la morte, avvenuta la sera di sabato 2 aprile 2005, il papa polacco ha continuato a bruciare le tappe.

Boom di miracoli. Il suo successore, Benedetto XVI, ha dato ascolto alla folla che l'8 aprile 2005, ai funerali, lo voleva "santo subito" e, derogando alla regola per cui occorre lasciar trascorrere cinque anni dal trapasso, già l'anno seguente ne ha avviato il processo di beatificazione.

Per non smentirsi, Wojtyla si presenta alla canonizzazione con un super curriculum: al 1° aprile 2009 erano già 251 i suoi presunti miracoli al vaglio delle autorità vaticane. Il primo riconosciuto è stata la guarigione, nel giugno 2005, di una suora francese che soffriva del suo stesso male, il morbo di Parkinson.

Giramondo. La sua eccezionalità si misura in primo luogo da questi e altri numeri. Un pontificato lunghissimo, il terzo più lungo di sempre, 27 anni, speso perlopiù in trasferta. "I poveri non viaggiano", tagliava corto Giovanni Paolo II per giustificare il suo instancabile girovagare di pastore del villaggio globale. Nessun papa ha viaggiato quanto lui. Nessuno ha visitato più Paesi di lui. Nessuno ha consacrato tanti vescovi e proclamato tanti santi e beati quanti lui. Nessun papa è stato più visibile in tutta la storia della Chiesa. Di più: secondo il suo biografo ufficiale, George Weigel, è stato in assoluto «l'uomo più visibile della Storia. Quasi certamente è stato visto di persona da più gente di chiunque altro. Se a ciò si aggiunge l'effetto moltiplicatore della televisione, la portata della sua notorietà diviene quasi impossibile da cogliere».

Senza paure. Già, il papa più mediatico, osannato da moltitudini di giovani, i Papa-boys, e popoli di ogni razza e credo. Titoli d'apertura nei Tg, dirette-fiume, persino una lunga agonia trasformata in non-stop televisiva. Il papa stava al gioco, sfruttava i mass media per ridare alla Chiesa di Pietro la centralità perduta, a costo di suscitare critiche impietose, come quelle di totalizzare nel suo carisma l'intero edificio ecclesiastico o di ridurre il sacro a spettacolo ("una Chiesa più applaudita che ascoltata", per citare, tra tanti, il giornalista Giancarlo Zizola). Ma in questo modo riusciva a riguadagnare alla Chiesa cattolica un ruolo da protagonista e a darsi un'autorità inaudita, da leader globale, ascoltato e riverito dai potenti della Terra, come dimostrò il suo intervento, nell'ottobre 1995, alle Nazioni Unite.

Leader morale. Un pontefice influente come pochi. Paladino della libertà e dei diritti degli individui e dei popoli, ha fatto la storia del ventesimo secolo, specie con la prima parte del suo papato. Non c'è dubbio che il suo vibrante incitamento a "spalancare le porte a Cristo", ad aprirgli "i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici", sia stata la prima picconata ai regimi comunisti d'oltrecortina.

Lui appiccò l'incendio che dalla Polonia, con la rivolta di Solidarnosc, s'estese all'intero blocco comunista, Unione Sovietica compresa.

Salvo per miracolo. E questa leadership morale gli costò quasi la vita: sembra ormai accertato, infatti, che il mandante dell'attentato di cui Wojtyla fu vittima il 13 maggio 1981 in piazza San Pietro era l'Urss di Andropov, anche se l'esecutore, il turco Ali Agca, fece il possibile per depistare gli inquirenti. Giovanni Paolo II si salvò per un soffio. Fu un vero miracolo per la scienza e anche per lui, che lo mise subito in relazione con le profezie di Fatima.

Nel nuovo millennio. Da quel momento la sua salute iniziò a declinare. Più tardi fu operato di tumore al colon. Poi tanti problemi articolari: una spalla slogata, il femore rotto, problemi a un ginocchio, l'impianto di una protesi all'anca. Infine, il Parkinson. L'atleta di Dio si tramutò in una rappresentazione vivente della Croce e del Calvario, ma ciò non gli impedì di rimanere al centro della scena.

Campione di pacifismo. Se in una prima fase era stato ago della bilancia nel conflitto Est-Ovest, in una seconda, la fase del nuovo ordine mondiale, dopo la caduta del Muro, ebbe un ruolo decisivo nello sventare la minaccia del riarmo e di una guerra nucleare. Nel terzo e ultimo periodo, l'era post-Twin Towers, dominata dagli spettri del terrorismo islamico e dello scontro di civiltà, divenne l'alfiere del dialogo. Un faro per i pacifisti di tutto il mondo.

Conservatore. Wojtyla aveva privilegiato fin da principio, scrive il vaticanista Andrea Tornielli, "la dimensione carismatica e missionaria legata al suo ruolo, piuttosto che quella istituzionale e di governo"; la malattia lo portò a delegare ancor più gli affari interni. Questa è una delle critiche che vengono mosse in genere al "papa pellegrino": sarebbe rimasto immobile, ultraconservatore, sul piano dottrinale – tradendo così le promesse del Concilio Vaticano II – e avrebbe delegato troppo nell'ambito istituzionale consegnando ai suoi posteri una Chiesa ancora più burocratica, romana ed ecclesiastica di quella ereditata.

Pro e contro. Nessuna apertura in tema di contraccezione, bioetica, sacerdozio femminile, famiglia, tanto per citare alcuni tasti dolenti. «Diciamo che si è dedicato di più ai viaggi e alle iniziative per diffondere il messaggio evangelico», osserva Aldo Maria Valli, vaticanista Rai. «Pensiamo solo alle Giornate mondiali della gioventù, una sua invenzione.

Nel governo ha delegato molto, in particolare a Ratzinger. Ma il suo non era calcolo: lui parlava volentieri alle folle e amava proporre il messaggio evangelico per attrazione. Nei modi e nel linguaggio è stato un innovatore. Sul piano sociale e geopolitico ha aperto nuovi orizzonti alla Chiesa».

Fondamentalista o innovatore? «I problemi odierni dipendono da metà circa del suo pontificato», accusa il teologo Vito Mancuso, facendo riferimento alla questione della pedofilia, all'intransigenza in materia di morale sessuale e bioetica e al profilo «conservatore e ben poco attento alla dimensione profetica» dell'episcopato mondiale. Però, ammette, «sarebbe sbagliato dimenticare i punti luminosi del suo pontificato. Nel dialogo interreligioso nessuno ha avuto il suo coraggio. Il primo incontro di Assisi dell'86 fu percepito come problematico anche all'interno del mondo cattolico. Poi non si può non ricordare la visita alla sinagoga di Roma e l'incontro con i giovani musulmani a Casablanca in cui baciò il Corano. Nella colonna dei "più", metterei anche le domande di perdono per gli errori compiuti dalla Chiesa».

Dunque un papa bifronte, fondamentalista per certi versi e, per altri, progressista? Probabilmente ha ragione Weigel quando osserva che le tradizionali categorie di "destra" e "sinistra" risultano inadeguate nel caso di Wojtyla: che occorre capirlo "dal di dentro"...

16 ottobre 2023 Focus.it
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